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Manifestazione regionale per la Tutela della Salute Mentale in Veneto

L’Associazione Italiana per la Tutela della Salute Mentale (AITSaM ODV) si rivolge alla Regione Veneto e sollecita il sostegno delle organizzazioni professionali e sindacali e della società civile in tutte le sue articolazioni affinché siano destinate risorse adeguate alla prevenzione e alla cura del disagio mentale

Da tempo e in ogni sede, istituzionale e non, l’AITSaM nazionale e le sue Sezioni venete richiamano la Regione all’osservanza delle Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale, emanate dal Ministero della Salute nel 2008, a 30 anni dall’approvazione della legge 180 del 1978, voluta fortemente dal veneziano Franco Basaglia e destinata a segnare, con il passaggio dalla psichiatria manicomiale alla psichiatria di comunità, un radicale cambiamento di prospettiva: per la società, dalla custodia alla cura, per il paziente, da un destino di cronicità alla speranza nella riabilitazione.

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (biennio 2018-2019) fotografano la gravità della situazione:
carenze progressive negli organici delle figure professionali, soprattutto di psichiatri, psicologi, tecnici della riabilitazione, fondamentali nella cura e nella riabilitazione;
costante calo quantitativo e qualitativo di prestazioni e di attività;
riduzione delle strutture di cura ed esiguità della spesa pro capite.


Si tratta di criticità solo in parte riconducibili alla stretta sulla spesa pubblica, ma soprattutto alle scarse risorse destinate dalla Regione alla cura della salute mentale.
A fronte della soglia minima del 5% irrinunciabile, il Veneto riserva da anni alla Salute Mentale solo circa il 2,5% (nel 2019 era il 2,24%) della dotazione del fondo sociosanitario regionale, classificandosi così al penultimo posto della graduatoria nazionale.
Le carenze degli organici determinano il ricorso generalizzato al privato sociale per reperire educatori e tecnici della riabilitazione, con tutti i rischi connessi: insufficiente garanzia di qualità della formazione, continuo turnover, scelte terapeutiche derivanti più dalla disponibilità di operatori nelle cooperative che dai bisogni dell’utenza e dalle evidenze scientifiche.
Le direttive regionali in materia fanno costante riferimento al Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato, ma rimane senza applicazione il cosiddetto Budget di Salute, strumento riabilitativo di provata efficacia (come l’IPS e le modalità riabilitative EBM) che, nelle mani di terapeuti debitamente formati, ne consentirebbe la gestione individuando le risorse per tradurlo in realtà concreta.

In Veneto le già citate Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale del 2008 sono disattese anche per quanto riguarda la Residenzialità: la Direttiva regionale n. 1673 del 12/11/2018, nonostante ripetute sollecitazioni a favore della diffusione di forme di residenzialità leggera o supportata, ripropone, con le RSSP (Residenze Socio-Sanitarie Psichiatriche non a termine per persone oltre i 45 anni) e l’ampliamento generale della lungoassistenza psichiatrica, la logica della segregazione manicomiale, con rincari di spesa penalizzanti per le famiglie.
Manca totalmente qualsiasi previsione di misure strutturali in un ambito cruciale: la prevenzione del disagio mentale nell’infanzia e nell’adolescenza in tutte le sue forme, dalla depressione ai disturbi del comportamento, e questo malgrado la crescente domanda del territorio.
Inammissibile che continui il ricovero di minori negli SPDC ospedalieri destinati all’età adulta.


La persistente rinuncia della Regione Veneto a investire risorse nella Salute Mentale, oltre a ledere il diritto fondamentale alla salute dei suoi cittadini, rivela una miopia politica che produrrà costi ben più elevati:
– a causa della cronicità indotta dalla mancata prevenzione e dalla difficoltà di seguire adeguatamente i pazienti nel percorso di cura;
la spesa comunque sostenuta non riesce ad essere efficace per la sproporzione numerica tra operatori e utenti.


Ne consegue che le direttive regionali in materia di salute mentale risultano lettera morta in mancanza delle risorse umane e finanziarie per implementarle e senza risorse adeguate appare pura retorica l’uso di termini come empowerment e recovery.
Investire significa riqualificare l’attuale spesa e aggiungere risorse finalizzate all’assunzione di psichiatri, psicologi, educatori e, soprattutto, tecnici della riabilitazione per colmare carenze nuove e vecchie: piani riabilitativi, interventi psicosociali, problematiche collegate ai disturbi della condotta alimentare e a comorbilità, inserimenti lavorativi. Troppo spesso l’elevato numero di utenti in carico al servizio pubblico (oltre 69.000 nel 2019) impedisce agli operatori, da un lato, di seguirli in modo puntuale e costante, dall’altro produce negli stessi, sottoposti a carichi di lavoro insostenibili, l’insorgenza di sindromi di burnout e la richiesta di trasferimento in altre regioni.
Vanno considerate inoltre anche le numerose persone che, a causa delle lentezze e dei rinvii del servizio pubblico dovuti alla carenza di operatori, sono costrette a rivolgersi al privato.
Per completare il quadro dei bisogni del territorio si riportano i dati della farmaceutica regionale (trasmessi al Ministero della Salute e pubblicati dal SISM), che indicano come nel 2019 gli utenti trattati con antidepressivi siano stati 450.000, quelli trattati con antipsicotici 79.000.
Ai richiami dell’AITSaM e delle altre organizzazioni della società civile, si aggiungono oggi le direttive sulla Sanità Pubblica contenute nel PNRR – Missione 6, che impongono di superare il divario tra le regioni e affermano la necessità dell’aggiornamento per le professioni sanitarie e del rafforzamento della medicina di Comunità.

Poiché nulla è specificamente riferito al campo della Salute Mentale, è inevitabile la preoccupazione per il futuro di un ambito sanitario dalle forti implicazioni sociali, in cui, ai fini dell’integrazione sociale e del pieno godimento dei diritti fondamentali, in primis la salute, l’abitare e il lavoro sono decisivi:
– la tempestività dell’intervento;
– l’effettiva presa in carico della persona;
– il monitoraggio degli interventi e il richiamo costante alla ricerca scientifica.


È opportuno ricordare che Il lavoro ha sempre rivestito e riveste un ruolo importante nelle pratiche orientate alla recovery; l’inclusione lavorativa nelle sue varie forme è il segno più concreto di inclusione sociale, con effetti importanti sull’autonomia personale, sull’autostima, sul benessere relazionale, sulla autonomia personale e, secondo la ricerca, anche sulla stabilizzazione sintomatologica.
Anche in questo caso il PNRR – Missione 5 offre alla Regione l’opportunità di riformare profondamente le attuali procedure di avviamento al lavoro degli utenti dei servizi psichiatrici, come previste dalla Deliberazione della Giunta regionale n. 21/2012 e i suoi schemi di processo.
I SIL (Servizi Integrazione Lavorativa) vanno aggiornati e integrati nella loro attività da strumenti di inserimento di comprovata efficacia quali l’IPS (Individual Placement Support). Gli utenti, a loro volta, devono essere sostenuti e accompagnati nel percorso, prendendo in considerazione anche la famiglia.
È necessario che il datore di lavoro, pubblico o privato, possa agire senza inutili appesantimenti burocratici e normativi. È sufficiente ripercorrere tutte le procedure di attivazione e controllo dei tirocini e la mole dei documenti che riguardano soggetti ospitanti, promotori e certificatori per capire come mai molti datori di lavoro, pur socialmente responsabili e disponibili, siano dissuasi dall’accogliere utenti dei servizi psichiatrici dalla mole di atti burocratici che li sommerge e dalla mancanza di adeguata formazione sia dell’inviante sia delle persone da inserire.

SI CHIEDE, NEL BREVE E MEDIO PERIODO, DI:

  • Destinare alla salute mentale almeno il 5% del fondo socio-sanitario regionale;
  • Sopperire con nuove assunzioni alla carenza di psichiatri, aggravata anche nei ruoli apicali da pensionamenti e trasferimenti, con misure urgenti, innovative e incentivanti verso assunzioni stabili (premi economici, compensazioni per la distanza dalla residenza, vincolo di permanenza pluriennale nelle AULSS), in modo da attirare anche gli specializzandi;
  • Assumere nei CSM (Centri di Salute Mentale) le figure professionali essenziali per una reale recovery e per la prevenzione delle cronicità: psicologi, tecnici della riabilitazione, educatori, assistenti sociali, in numero confacente al bisogno;
  • Promuovere il modello organizzativo e gestionale del Budget di Salute, per la concreta integrazione socio-sanitaria, attraverso il coinvolgimento diretto dell’utente e della sua famiglia; l’elaborazione di Progetti Terapeutico-Riabilitativi Individualizzati e l’intervento sui fattori sociali (socialità, lavoro, abitare) determinanti per la salute mentale;
  • Garantire l’uniformità degli standard socio-sanitari in tutto il territorio regionale;
  • Assicurare l’apertura dei servizi di day hospital e dei Centri diurni per l’intera giornata (almeno 8 ore al giorno);
  • Rinunciare al progetto delle RSSP come è previsto dalla Deliberazione della Giunta regionale n. 1673 del 12/11/2018 in materia di residenzialità e dedicare risorse apposite alla residenzialità leggera e all’abitare supportato, anche per i pazienti oltre i 45 anni di età definiti cronici. Non si possono cosiderare queste persone come scarti dei servizi psichiatrici;
  • Destinare risorse apposite agli interventi finalizzati all’inserimento lavorativo degli utenti dei servizi psichiatrici, avvalendosi della collaborazione attiva degli enti locali;
  • Considerare risorse da valorizzare, nell’ottica di un reale processo di empowerment, gli utenti, i loro familiari, i caregiver, gli insegnanti nel caso dei minori;
  • Sostenere centri di aggregazione aperti al territorio per favorire l’inclusione e l’integrazione sociale, anche su iniziativa delle associazioni di volontariato;
  • Non delegare al privato (profit e no profit) servizi in cui l’aspetto clinico sia determinante in modo da garantire pratiche cliniche evidence based e monitorarne l’efficacia.

IN SINTESI, SI CHIEDE, NEL LUNGO PERIODO, DI:

  • Promuovere nelle università della Regione corsi specifici per le professioni sanitarie, assistenziali, educative, finalizzati alla formazione di professionalità destinate non solo all’ambito dei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, ma anche ai servizi territoriali e domiciliari, da organizzare in maniera strutturata efficace ed efficiente;
  • Assicurare la formazione continua di tutto il personale attraverso il collegamento con le università e i centri di ricerca scientifica;
  • Promuovere la prevenzione anche attraverso la formazione e l’aggiornamento obbligatorio delle figure professionali nei dipartimenti di salute mentale, nelle neuropsichiatrie e nei distretti socio-sanitari dove viene operato un primo screening dei disturbi mentali;
  • Interdire in modo assoluto il ricovero di minori in SPDC per adulti;
  • Superare la rigida separazione delle competenze tra servizi di Neuropsichiatria infantile, SerD/SerT e Salute mentale a favore della continuità dell’intervento terapeutico;
  • Avviare un audit che porti a formulare nuove indicazioni e nuove linee guida sull’uso appropriato degli antipsicotici, per ridurre al minimo i rischi connessi agli effetti collaterali prodotti dall’assunzione prolungata ed evitare la cronicizzazione delle patologie. La Legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (legge 219/2017) consente una chiara assunzione di responsabilità di utenti e familiari rispetto agli eventuali rischi connessi alla graduale riduzione della terapia farmacologica prescritta;
  • Superare le comunità psichiatriche di varia natura per evitare forme di cronicizzazione in strutture sanitarie, molto costose, spesso isolate e inadatte a perseguire i progetti terapeutici riabilitativi individuali previsti dai nuovi LEA. La recente tragica esperienza della pandemia ha messo in evidenza limiti e inadeguatezze di questo modello;
  • Verificare l’appropriatezza degli attuali gruppi appartamento e favorire nuove soluzioni per l’abitare supportato con la presenza di personale a seconda delle necessità;
  • Riformare le attuali procedure di avviamento al lavoro e rivedere in modo sistematico e integrato i vari modelli. In particolare, il tirocinio formativo presso un datore di lavoro, pubblico o privato, consente all’utente di entrare in un ambiente lavorativo, sperimentarsi in un percorso di crescita personale e relazionale, acquisire, attraverso un’esperienza pratica, conoscenze e capacità riconosciute e valorizzate attraverso opportune certificazioni.

Si chiede infine


che siano ripristinati da subito, laddove non presenti, i Consigli e le Assemblee di Dipartimento come previsto dalle leggi nazionali e regionali, per la trasparenza della gestione e la tutela dei diritti dei più fragili, al fine di operare scelte coerenti alle normative, superare l’autoreferenzialità dei servizi e consentire la puntuale restituzione pubblica dei dati sulla salute mentale che permettano di mettere in luce anche le specifiche situazioni locali e di fornire risposte ai bisogni degli utenti e dei loro familiari.


SI RIBADISCE:
LA MALATTIA MENTALE È UNA MALATTIA NORMALE
NON C’È SALUTE SENZA SALUTE MENTALE


GIOVEDÌ 31 MARZO 2022
MANIFESTIAMO PER IL DIRITTO A UN’ASSISTENZA
PSICHIATRICA DI QUALITÀ IN VENETO

CONTRO LE INADEMPIENZE DELLA REGIONE


VENEZIA, ritrovo davanti Stazione FFSS ore 10.00


Per aderire inviare una email a: aitsam@aitsam.it

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